Motti Latini e Citazioni

Motti latini, lettera H

Motti latini, sentenze e citazioni di uso quotidiano, con indicazione delle fonti, con i chiarimenti necessari e la traduzione italiana.
Motti latini che iniziano con la lettera H.



Habeas corpus
Abbi il (tuo) corpo. - Nel diritto anglosassone, il principio e la tutela della inviolabilità personale, e per esso, il diritto di conoscere la causa di un arresto. Per estensione, la locuzione è usata per indicare le garanzie delle libertà personali del cittadino.

Habemus confitentem reum. (Cicerone, Pro Ligario, I, 2).
Abbiamo il reo confesso. - Espressione usata talora nel linguaggio giuridico o anche scherzosamente nell'uso comune, per indicare che una persona si è decisa a confessare il suo fallo.

Habemus papam
Abbiamo il pontefice. - A concistoro finito, il cardinale decano annuncia al popolo, che attende, l'elezione del nuovo papa con questa formula: "Nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam, eminentissimum et reverendissimum dominum..., qui sibi imposuit nomen...". La frase, anche nella forma habemus pontificem, si usa scherzosamente per indicare qualunque elezione ad un'alta carica.

Habent sua fata libelli.
I libretti hanno la loro fortuna. - Frase del grammatico latino Terenziano Mauro (sec. 3° d.C.), la quale, nella sua forma completa, Pro captu lectoris habent sua fata libelli, secondo la disposizione del lettore, i libri hanno la loro fortuna, si usa per significare che ogni libro ha il suo destino, è predestinato cioè a maggiore o minore fortuna quale che sia il suo merito intrinseco (oppure anche che ogni libro è destinato presto o tardi, all'oblio).

Haec ornamenta mea
Questi sono i miei gioielli. - Valerio Massimo pone questa frase in bocca a Cornelia, madre dei Gracchi, che mostrò i suoi figli ad una matrona la quale vantava i suoi gioielli ed i suoi ori.

Hannibal ad portas o ante portas.
Annibale è alle porte (di Roma). - Lo dice Tito Livio, narrando il terrore dei romani all'annuncio della vittoria riportata dal generale cartaginese a Canne (216 a.C.). Si temeva che Annibale marciasse su Roma. La frase viene oggi ripetuta nell'imminenza di un pericolo.

Hic et nunc
Qui ed ora. - Locuzione che significa "subito, immediatamente" ; è pronunciata soprattutto nel dare un ordine, o da parte di chi si affretta a eseguirlo.

Hic manebimus optime. (Livio, Hist., 5, 55)
Qui resteremo benissimo. - Quando i Galli ebbero incendiata Roma (390 a. C.), alcuni senatori proposero di trasferirsi a Veio; ma Furio Camillo cercò di dissuaderli. Un centurione che passava pel foro gridò: "Signifer, statue signum, hic manebimus optime", vessillifero, pianta l'insegna, qui resteremo benissimo. Udita questa frase, i senatori vi ravvisarono un ammonimento divino, e d'accordo con la plebe Roma non fu abbandonata. La frase venne ripetuta da Quintino Sella nel 1870, quando la capitale da Firenze fu portata a Roma.

Hic Rhodus, hic salta.
Qui è Rodi, qui salta. - Traduzione latina di una frase greca che in una favola di Esopo viene rivolta a un millantatore il quale si vantava di aver fatto un grandissimo salto nell'isola di Rodi. Si usa oggi per deridere gli spacconi e metterli alla prova.

Hic sun leones.
Qui ci sono i leoni. - Frase che si legge sulle carte geografiche antiche, nelle regioni allora inesplorate dell'Africa. La frase è talora ripetuta per accennare scherzosamente a un pericolo certo ma di natura ancora non ben precisata, o anche per indicare una materia o una scienza che non si conosce molto bene.

Hoc erat in votis. (Orazio, Sat., II, 6, 1).
Questo era nei desideri. - Parole, divenute proverbiali (anche nelle forme quod erat in votis e sicut erat in votis), con le quali Orazio ringrazia Mecenate del dono di una villa in Sabina. Si usano talora, per indicare l'esito ottenuto di una cosa che si desiderava.

Hoc opus, hic labor. (Virgilio, Aen., IV, 129).
Questo il lavoro, questa la fatica. - Emistichio virgiliano in cui la Sibilla avverte Enea sulle soglie dell'inferno che il difficile non è entrarvi ma uscirne. Si usa proverbialmente per indicare quali sono le maggiori difficoltà di un'impresa. Equivale pressappoco al dantesco Qui si parrà la tua nobilitate (Inferno, II, 9).

Hodie mihi, cras tibi.
Oggi a me, domani a te. - Si pronuncia talvolta per esortare altri o se stessi alla sopportazione di mali inevitabili, o come ammonimenti a non rallegrarsi delle altrui sventure, perché la ruota della fortuna gira rapidamente.

Homo homini lupus.
L'uomo è lupo per l'uomo. - Proverbio pessimistico, derivato da Plauto (Asinaria, II, 4, 88), che vuole alludere all'egoismo umano, e assunto dal filosofo inglese Thomas Hobbes, nella sua opera De cive, per designare lo stato di natura in cui gli uomini, soggiogati dall'egoismo, si combattono l'un l'altro per sopravvivere.

Homo sum, humani nihil a me alienum puto. (Terenzio, Heautontimorumenos, I, 1, 25)
Sono uomo, niente di ciò ch'è umano ritengo estraneo a me. - Parole pronunciate dal vecchio Cremete, a giustificazione della sua curiosita, e divenute proverbiali per alludere alla fondamentale debolezza della natura umana, alla difficoltà di evitare l'errore o la colpa. Si citano anche per significare di essere aperto a ogni esperienza umana.

Homo trium literarum. (Plauto, Trinum).
Uomo di tre lettere. - Con questa frase, Plauto definisce un ladro, "Fur", senza che appaia l'accusa.

Honoris causa.
A titolo di onore. - Così è definita la laurea che le Università accordano a persone che si sono distinte per alti meriti, senza che abbiano subito esami; ma, anche, senza che acquistino il diritto di insegnare o concorrere a cattedre.

Horribile dictu.
Orribile a dirsi. - Horresco referens (inorridisco raccontando) sono invece le parole che Virgilio (Aen., II, 204) fa pronunciare ad Enea quando narra a Didone l'orribile fine di Laocoonte e dei suoi figli.

Horror vacui.
Orrore del vuoto. - Frase con la quale si espresse un concetto fondamentale della fisica aristotelica che, in polemica con la fisica democritea, asseriva l'inesistenza di spazi vuoti (la natura aborre dal vuoto).